Fino a 50 anni fa, nel nostro paese, si mangiava con lo stomaco, si mangiava perché si aveva fame, si mangiava perché l’organismo ne aveva veramente bisogno; si veniva da un periodo di guerre, povertà, malnutrizione e malattie; c’era scarsità di alimenti nutrienti e l’organismo era sempre in deficit, il cibo non bastava mai e tutto quello che si mangiava veniva bruciato senza lasciare depositi.
Nel dopoguerra si andava a fare la spesa e si comprava il prosciutto a fette: “mi dia quattro fette di prosciutto “ si sentiva spesso dire ai banchi dei negozi di alimentari, sì quattro fette per una famiglia di quattro persone.
Ora che esiste la raccolta organica ci sentiamo un po’ meno in colpa a buttarlo, ma il risultato è sempre lo stesso.
Le cause, come sempre, sono molteplici.
Prima di tutto l’industrializzazione, la produzione delle colture su larga scala, l’intensificazione degli allevamenti animali; ma cosa ha portato a tutto questo? La domanda crea l’offerta. E’ la domanda che è aumentata esponenzialmente. Qualcuno ci ha fatto credere, e continua tuttora, che avere il frigorifero pieno di cibo raffinato, colorato, profumato ci fa sentire ricchi, felici, appagati e quindi più sani.
Se i nostri figli non mangiano quello che mangiano “gli altri “ ci si sente inferiori; nostro figlio ci chiederà un alimento non perché gli piace o sente che gli fa bene ma perché l’ha visto nello zaino del suo migliore amico di scuola. Per gli adulti è lo stesso, mangiamo quello che ci raccontano essere buono e sano e quindi fonte di felicità e di appagamento; se non riusciamo ad avere quello che vediamo alla televisione rimaniamo male, soli e disorientati. Perché?
Mangiamo prima di tutto per riempirci la testa, il cuore, la mente; mangiamo per riempire vuoti mentali ed emotivi; mangiamo per un motivo che è ben lontano dall’istinto primordiale della sopravvivenza.
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